giovedì, Marzo 28, 2024
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Call Marketing, giudice riconosce “natura pretestuosa dello scarso rendimento”: reintegro per lavoratrice. Speranza per i colleghi

Rifiutano il trasferimento, scioperano e l’azienda li licenzia. Due anni il segnale sperato. Assistita dall’avvocato Iuri Chironi e sostenuta dalla Slc Cgil di Lecce, una lavoratrice ha ottenuto giustizia: ora sperano anche altri suoi colleghi che hanno vissuto la medesima sventura.Il giudice del lavoro Luca Notarangelo del Tribunale di Lecce ha dichiarato nullo il licenziamento deciso da Call Marketing e condannato l’azienda al reintegro nel posto di lavoro, oltre che al pagamento di una indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegro (e al pagamento delle spese legali).La vertenzaTutto inizia a febbraio 2016: decine di lavoratrici e lavoratori del call center, all’epoca con sede ad Acquarica di Lecce, sono convocati dai responsabili aziendali. Che comunicano la proposta: rassegnare le dimissioni, per poi proseguire il rapporto di lavoro con contratto autonomo di collaborazione. In caso di rifiuto, è pronto per loro il trasferimento ad Acquarica del Capo, distante 60 chilometri dalla sede di lavoro.Su 90 dipendenti, più della metà non ci sta: decine di lavoratori e lavoratrici si rivolgono alla Slc Cgil di Lecce. L’azienda, a quel punto, avrebbe disposto il trasferimento per quanti si erano opposti alla proposta. Decisione che fa scattare uno sciopero ad oltranza di 8 mesi, guidato dalla Slc, terminato a novembre 2016.Passano quattro mesi. A febbraio 2017 l’azienda trasferisce i lavoratori dipendenti da Acquarica del Capo a Galatina (come proposto dalla Slc Cgil mesi prima). Eppure, proprio da quel momento, sarebbe iniziato un calvario. Con la scusa dello scarso rendimento, Call Marketing avrebbe attuato una vera e propria politica di riduzione del personale: secondo i ricorrenti, l’azienda avrebbe sottoposto ai lavoratori liste di utenti non interessati al dialogo. Una platea, in sostanza, di contatti “negativi”, assegnata solo ai dipendenti a tempo indeterminato che avevano rifiutato la trasformazione del contratto a progetto e che avevano partecipato allo sciopero.La decisionePer il giudice del lavoro è “evidente la natura pretestuosa dello scarso rendimento su cui si fondano i licenziamenti”. Peraltro lo scarso rendimento, in base al contratto nazionale, non è una condotta che può giustificare il licenziamento. Né sono emerse, anche dopo il trasferimento, gravi negligenze tali da far scattare altri provvedimenti disciplinari (ammonizione scritta, multa o sospensione dal lavoro). Testimonianze e documenti prodotti in sede di giudizio per il Tribunale di Lecce sono sufficienti per provare la “natura ritorsiva del licenziamento”, che pertanto va dichiarato nullo. Una sorte condivisa con altri colleghi che ora attendono il giusto risarcimento per le condotte subite.Il commento“La sentenza fa giustizia di una grave prevaricazione perpetrata a danno di lavoratrici e lavoratori che avevano il lavoro nel call center come unica fonte di sostentamento per le loro famiglie e che hanno visto nello sciopero l’unico mezzo per tutelare i propri diritti”, dicono Valentina Fragassi, segretario generale della Cgil Lecce, e Tommaso Moscara, segretario generale della Slc Cgil Lecce-Brindisi.“Questo pronunciamento – asseriscono – rilancia la convinzione della Cgil: l’articolo 18 non solo non andava abrogato, ma andava ampliato ad una platea di beneficiari più estesa. Per l’ennesima volta un giudice del lavoro italiano ‘mette in discussione’ il Jobs Act, che prevedeva tra l’altro anche sgravi fiscali per le aziende che avrebbero assunto a tempo indeterminato, salvo poi dare mano libera ai licenziamenti attraverso il meccanismo delle cosiddette ‘tutele crescenti’. Il tentativo di Call Marketing di ‘consigliare’ le dimissioni dietro minaccia di un trasferimento in blocco dimostra che alcune aziende intesero pretestuosamente quella riforma: la Cgil da subito mise in guardia il Legislatore sui pericoli delle tutele crescenti. Alla luce anche di questa sentenza, emerge con forza la necessità di un nuovo Statuto dei Lavoratori”.

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