giovedì, Aprile 18, 2024

Xylella

Leccino e Favolosa non bastano

Servono competenze tecniche che ‘aiutino’ gli agricoltori nei reimpianti Giuseppe Vergari, dottore agronomo e presidente del Centro Studi Olea: “È un’utopia pensare che il Leccino e la favolosa possano sostituire l’intera olivicoltura del nostro territorio”

I danni causati dalla Xylella fastidiosa sono sotto gli occhi di tutti. Basta fare una passeggiata per ritrovarsi in un cimitero a cielo aperto, con centinaia di ‘scheletri’ che non ricordano neanche vagamente le chiome rigogliose su cui è possibile vedere, in bella mostra, le targhette numerate che la regione Puglia ha distribuito per distinguere le piante secolari da quelle millenarie.

Il batterio killer, dopo aver cambiato il volto delle campagne salentine, sta continuando la sua inesorabile avanzata verso Bari. Condanna a morte altri alberi, altre piante mentre si cercano soluzioni per fermare il batterio, dentro e fuori i “palazzi” di città.

La difficile partita contro il patogeno da quarantena si gioca anche sul campo, nella terra dove affondano le radici i «simboli» di questo territorio. In gioco non c’è solo il futuro del comparto, ma l’identità di una terra, un patrimonio che non sarà semplice sostituire. «È un’utopia pensare che il Leccino e la Favolosa possano sostituire l’intera olivicoltura del nostro territorio. Il Salento è troppo eterogeneo da un punto di vista geo-morfologico, non ha l’omogeneità del nord-barese o del foggiano per poter pensare che due sole varietà possano riassumere tutto il sistema che si è creato nei secoli» ha spiegato Giuseppe Vergari, dottore agronomo e presidente del Centro Studi Olea.

Già, perché nell’ultimo periodo tanto è stato scritto (e detto) sulle cultivar tolleranti al batterio: la FS-17, più conosciuta con il nome di “Favolosa” e il Leccino, “candidate” a restituire al Salento il meraviglioso paesaggio distrutto dal batterio.

Basterebbe solo ‘sostituire’ le vecchie piante con le nuove? No. Secondo Vergari servono competenze tecniche e figure professionali ‘preparate’ che tendano una mano agli agricoltori in difficoltà.

«Come accadeva per la vecchia olivicoltura, fatta di persone “competenti”, anche per la gestione dei nuovi impianti, avendo delle caratteristiche specifiche peculiari, sono necessarie competenze “specifiche”. Basti pensare al fatto che esistono, nel Salento, diversi ettari coltivati a Favolosa, ma che – per un motivo o per un altro – non hanno avuto in termini produttivi il successo sperato. Uno dei fattori che non ha favorito lo sviluppo è proprio la mancanza di un’adeguata competenza tecnica che affianchi contadini e agricoltori nelle diverse fasi, dall’irrigazione, alla gestione della nutrizione, fino alla gestione della potatura».

Cancellare la Xylella è impossibile, per questo bisognerebbe imparare a convivere con il batterio trasportato dalla sputacchina o da altri insetti vettori. Per far questo è necessario fare sistema, partendo da quella identità che è stata cambiata.

«Abbiamo di fronte a noi una scelta importante: dobbiamo trovare, attraverso la ricerca, nuovi genotipi, nuove varietà che si adattino al territorio salentino e alle sue disomogeneità geomorfologiche».

«Nell’Orto degli Ulivi ho portato alcuni genotipi – 200 linee di ulivi, piante che hanno superato una prima fase di selezione e sono prossime alla produzione, piante che sono messe a dimora in un territorio fortemente attaccato dalla Xylella e dove si stanno valutando le caratteristiche morfologiche della pianta oltre a quelle di resistenza o tolleranza al batterio killer. Ma non ci fermiamo a questo. Visto l’enorme patrimonio di questi genotipi, abbiamo la possibilità all’interno di un periodo medio-lungo di portare ulteriori piante provenienti da incrocio, addirittura ne esistono alcune incrociate con le nostre Celline, con le nostre Ogliarola. Genotipi che sicuramente possono esprimere caratteristiche simili al nostro patrimonio genetico esistente» ha concluso Vergari.

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