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Proposta di COPAGRI LECCE

Istituire zone di insediamento per evitare le eradicazioni degli ulivi e l’uso smodato di insetticidi. Proposta di COPAGRI LECCE

Fabio IngrossoPresidente della Copagri di Lecce, propone al rappresentante dello Stato, On. Enzo Lavarra e all’Assessore Fabrizio Nardoni, affinché si possa dare atto immediatamente a tutte le misure necessarie per contenere l’avanzare del batterio “Xylella”, nel rispetto dei ruoli che ognuno di noi ha all’interno del settore e nel rispetto dei produttori nostri associati che negli ultimi giorni  hanno letto di tutto e di più sugli organi di stampa.

PROPOSTA DI ISTITUZIONE DI UNA “ZONA DI INSEDIAMENTO”

Il 23 luglio è stata pubblicata la “Decisione di esecuzione della Commissione” che, a mia conoscenza, non richiede il recepimento degli Stati Membri ma è immediatamente esecutiva.

Nella parte più sostanziale la Decisione prevede la delimitazione di due tipologie di area: la “Zona infetta” e la “Zona cuscinetto”, tutto il resto del territorio sarebbe, per esclusione, esente dal batterio.

Il documento evidenzia 3 punti particolarmente importanti e di forte impatto:

1 – nelle zone delimitate tutte le piante contagiate, quelle che presentano sintomi e quelle probabilmente contagiate, devono essere abbattute.

2- nelle zone delimitate c’è divieto di impiantare specie sicuramente suscettibili o dello stesso genere,  o la cui suscettibilità non è stata ancora esclusa. È pertanto vietato piantare olivo, ma anche mandorlo, pesco, susino, albicocco, ciliegio,  varie specie di quercia, oltre che oleandro, e la pervinca. Inoltre, alla luce di recenti reperti, andrebbe vietato anche l’impianto di Polygala e Westringia

3 – nelle zone delimitate devono essere effettuati quelli che, pudicamente, la decisione definisce “opportuni trattamenti fitosanitari” per il contenimento dei vettori, lasciando al servizio fitosanitario l’onere di chiamarli per quello che sono: copertura continua del territorio con trattamenti insetticidi a calendario.

Dal punto di vista teorico la decisione è perfettamente rispettosa dell’ABC consolidato della gestione di un organismo da quarantena, ma la peculiarità del caso “Xylella-Salento”  costringe ad una riflessione critica sulla questione.

Le Decisione è stata scritta alla luce della fotografia dell’epidemia fatta al 30 Aprile, già allora di ampiezza tale da far ritenere irrealistico qualsiasi programma di interventi mirati ad “eradicare” (= “soluzione finale”) il microrganismo dal territorio.

Non dimentichiamo che, nel nostro caso, non sono solo le dimensioni a condizionare le probabilità di successo di un programma di eradicazione, ma anche quella che si sta dimostrando essere l’altissima efficienza di almeno una delle specie di insetti vettori (la sputacchina), l’esistenza di  specie vegetali sensibili oltre all’olivo, forse non ancora tutte individuate, l’alta incidenza delle aree residenziali sul territorio interessato, dove l’abitazione tipo è la casa singola con giardino (se, con buona approssimazione, si può pensare ad individuare le specie suscettibili nei terreni agricoli, si pensi invece a quanto possa essere irrealistico provare a censire la flora presente nei giardini privati).

Adesso  che sappiamo che la mappa dell’epidemia si sta evolvendo in peggio, assistiamo alla scoperta quasi quotidiana di piccoli focolai in aree della provincia ritenute pulite sino a pochi mesi fa. In altre parole, grande difficoltà a circoscrivere  in questo momento i limiti  dei singoli focolai e, di conseguenza, le fasce tampone.  Questo anche a prescindere dalla penuria di risorse umane da impiegare in tali attività.

Tutto ciò premesso, ed in vista dell’imminente riunione romana in cui dovranno essere prese decisioni definitive, mi permetto di esplicitare alcune riflessioni suggeritemi dal ricercatore dott. Boscia che  ha maturato  l’esperienza “di campo” nelle aree contaminate.

Immaginiamo di applicare fedelmente la Decisione così come è stata pubblicata, con grande dispendio di risorse ed energie (non potrebbe essere diversamente). Che risultati dovremmo realisticamente aspettarci?

L’obiettivo principale, l’eradicazione del patogeno dal continente europeo, non viene raggiunto. È un’utopia. Una volta entrata in un territorio dalle  condizioni climatiche a lei congeniali,  la Xylella fastidiosa ci si insedia e ci rimane, in ciò favorita dalla vasta gamma di ospiti alternativi e di vettori.  In queste condizioni essa è pertanto ineradicabile. Ben lo sanno gli statunitensi che, forti di un’esperienza ultracentenaria, hanno rinunciato ad ogni velleità eradicatrice.  Nel Salento poi,  la diffusione territoriale del  batterio  è già  assai vasta, ed a ciò si aggiungono  gli altri aspetti elencati sopra.

Oltre a non raggiungere l’obiettivo si arrecano dannie non di poco conto: vengono abbattute piante potenzialmente produttive, almeno per qualche altro anno e, soprattutto, vengono distrutti impianti di cultivar apparentemente tolleranti ed il cui abbattimento, in un contesto in cui non è credibile centrare l’obiettivo dell’eradicazione, sarebbe solo un sacrificio inutile. Si pensi, ad esempio: (1) alla sospetta “tolleranza” della cultivar “Leccino”, la cui presenza nel Salento non è trascurabile; (2) alla possibile scarsa patogenicità del batterio per il  ciliegio, le cui piante  infette sono poco o punto sintomatiche. Non più tardi di ieri ho visitato un oliveto in cui 100 piante di Leccino dell’età di 25 anni, con pochi “tollerabili” sintomi, affiancavano (stessa azienda, stesso metodo di conduzione) altrettante piante di Ogliarola di Lecce di 20 e 15 anni, ormai irrimediabilmente compromesse.

L’abbattimento delle piante tolleranti impedirebbe  l’identificazione di questi utili soggetti, mentre il divieto di piantare le specie elencate nella decisione comunitaria ostacolerebbe la necessaria sperimentazione sulla stessa tematica.

Certo, si potrebbero superare questi ostacoli con un atteggiamento “benevolo” del Servizio Fitosanitario, ma ciò renderebbe quest’ultimo “inadempiente”.  Non credo che  si debba ragionare in questi termini.

A mio avviso,  l’ostacolo potrebbe essere rimosso se, quella che la Decisione chiama “Zona infetta”, fosse sdoppiata  in “Zona tampone” e “Zona insediamento”. In tal modo le misure draconiane si potrebbero applicare in maniera più realisticamente mirata (per esempio “zone focolaio” potrebbero essere i focolai di Lecce-Surbo e Trepuzzi-Squinzano, o alcune aree ancora poco compromesse), mentre nell’area ampia, se delimitata come “Zona insediamento”, si potrebbero applicare azioni di contenimento (controllo dei vettori incluso) e di convivenza con il batterio.

Inoltre, la stessa area potrebbe diventare un vero e proprio “laboratorio” per  sperimentazioni di vario tipo, inquadrabili in un’ottica europea e, perchè no,  Mediterranea.  E’ questa  una proposta già avanzata anche dai  Proff. A. Purcell e R. Almeida, dell’Università di California a Berkeley.

L’idea della zona insediamento era stata sposata sia dal dott. Guario che dal dott. D’Onghia, ma si è infranta nel corso della riunione del 4 Agosto  a Roma, quando la rappresentanza ministeriale ha tagliato corto dicendo che il concetto di “Zona insediamento” non esiste nel vocabolario di Bruxelles, che non la prevede.

Credo che, prima di liquidare la questione “zona insediamento”, vada fatto un approfondimento, sforzandosi di pensare alla fattibilità delle azioni ed al dovere che tutti abbiamo di minimizzare i danni e non, viceversa, di aggiungere danno al danno.

Non deve sfuggire che le determinazioni comunitarie arrivano a  mesi di distanza dall’esame della documentazione richiesta  ed inviata a Bruxelles   nel rispetto dei tempi indicati dalla Commissione stessa. Nel frattempo le conoscenze scientifiche si sono approfondite e hanno disegnato scenari diversi da quelli precedentemente ipotizzati e che sono stati  oggetto delle decisioni comunitarie.

Insomma, si rischia di dover adempiere a provvedimenti non più in linea con quanto di nuovo nel frattempo è stato acquisito e che, essendo  ormai  privi di senso logico, scientifico ed operativo, vanno applicati solo per “ragioni disciplinari”.

Mi sembra evidente  che l’istituzione di una “zona d’insediamento” permetterebbe di lavorare con più serenità ed incisività  per il raggiungimento degli obiettivi che ci si è posti (contenimento della malattia in primis, ma non solo), senza l’ostacolo di prescrizioni rese obsolete dalla rapida evoluzione dell’epidemia e delle nuove  e sempre più aggiornate  acquisizioni scientifiche su di essa.

Occorre quindi attivare il monitoraggio dell’area che dovrà svolgere il ruolo di cordone sanitario attraverso il coinvolgimento delle Associazioni olivicole e delle organizzazioni di prodotto (le o. p.) olivicole in maniera da raggiungere tutti gli olivicoltori delle aree interessate e non iniziando l’attività dei trattamenti a calendario, cosi come si faceva negli anni passati per la lotta alla mosca dell’olivo: Ciò consentirebbe la riduzione dei vettori; inoltre, attraverso i tecnici presenti nelle associazioni e coinvolgendo gli ordini professionali si avrebbe un’autentica task force da mettere in campo per informare e allo stesso tempo controllare che tutti i trattamenti vengano effettuati nel rispetto delle norme ambientali, Provinciali, Regionali, Nazionali e Comunitarie.

Per attivare tutto ciò c’è bisogno di risorse economiche che la Regione Puglia e il Ministero dovrebbero stanziare per consentire l’acquisto dei prodotti da impiegare alla lotta del vettore; ma servono anche altre risorse per ristorare le aziende che hanno subito il danno e per aiutarle a reimpiantare quello che verrà eradicato.

Senza dimenticare che va aggiunto un intervento decisivo per ridurre la pressione fiscale sulle aziende colpite.

Fabio Ingrosso, Copagri Lecce

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