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“Lo strano caso della Xylella fastidiosa“

Caselli su Xylella: “Serve cautela questione contorta”

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Gian Carlo Caselli, a capo dell’Osservatorio nazionale sulle agromafie, studia da tempo la vicenda Xylella. Lo fa per aver pubblicato anche, nel rapporto annuale da lui coordinato, un capitolo dedicato al caso salentino, un caso, secondo l’ex procuratore capo di Torino, che si è voluto semplificare, parlando non più di complesso di cause del disseccamento, ma solo del batterio da quarantena.

Caselli, a Maglie nei giorni scorsi per discutere di mafia con l’autore e regista Pif e i ragazzi del liceo scientifico Da Vinci, è chiaro: “Su Xylella, al bando le guerre di religione”. Poi, lo sguardo si allarga: il procuratore sa di parlare anche in una terra che con la criminalità organizzata ci ha molto a che fare. E sa che che i mezzi per combatterla sono tanti e diversi.

Nel 3° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia (presentato il 15 gennaio scorso da Eurispes e Coldiretti), il capitolo iniziale – p.17/26 – è dedicato aLe ‘stranezze’ elencate ed illustrate dal rapporto sono davvero tante e legittimano interrogativi d’ogni tipo.

Di sicuro vi è che il patrimonio olivocolo del Salento ha registrato un attacco grave ad opera di un processo chiamato CoDiRo (Complesso del disseccamento rapido degli ulivi). All’inizio il progressivo ammalarsi delle piante venne riferito ad una molteplicità di fattori (di qui appunto ‘Complesso’), tra i quali figurava anche un batterio parassita, la Xylella fastidiosa, ma in concorso con altri agenti, compresa la preesistente debilitazione delle piante colpite, dovuta ad un eccessivo sfruttamento agronomico (pesticidi) che ha consumato nel tempo l’humus di quei terreni.

L’allarme presto diffusosi, per alcuni vera fobia, generò confusione e favorì il verificarsi di una singolare conseguenza: la complessità del caso fu ben presto radicalmente semplificata, puntando l’attenzione, invece che sulle concause individuate all’inizio, esclusivamente sulla Xylella fastidiosa. Solo di essa si cominciò a parlare e solo verso di essa furono indirizzate energie e risorse, configurandola come un nemico spaventoso ed irresistibile. Con il corollario della prospettazione di un pericolosissimo rischio di contagio. Quasi che il Salento fosse diventato una bomba pronta ad esplodere contaminando il resto del Paese e persino l’Europa.

Furono così ipotizzate risposte massicce e violente, con l’utilizzo dell’esercito e della Protezione Civile. Non convinti da questa strategia distruttiva, gli agricoltori più svegli e le associazioni ambientaliste puntarono però i piedi e organizzarono varie iniziative. Consulenze alternative, sperimentazioni, scambi e diffusione di informazioni riuscirono a consolidare scenari diversi da quelli apocalittici cari ad altri esperti.

L’attento monitoraggio della situazione che sta ora compiendo la polizia Forestale potrà sciogliere vari nodi favorendo le soluzioni più idonee, mentre (anche in seguito agli esposti di vari comitati civici) pure la procura della Repubblica di Lecce si sta occupando della questione, a partire da una singolare circostanza: perché i germi patogeni della Xylella (se davvero risultassero introdotti a Bari per fini sperimentali) non hanno colpito gli ulivi baresi ma invece quelli della zona di Gallipoli, a 200 km di distanza.

E’ comunque un dato di fatto, da tenere in considerazione, che ilpatrimonio naturale salentino pugliese è uno dei più importanti d’Europa. Un valore aggiunto che necessita di cura e protezione ma che nello stesso tempo può scatenare gli ‘appetiti’ di coloro che ne vogliano fare un business senza etica, senza rispetto e senza anima. Come accade quando si smontano e si rimontano patrimoni, risorse e beni comuni con la logica del mercato e delle multinazionali, con l’obiettivo di massimizzare il profitto senza preoccuparsi più di tanto della salvaguardia delle comunità e delle loro tradizioni. Come accade in tantissime parti del mondo e come è già accaduto varie volte anche in Salento nei casi documentati dal rapporto Eurispes/Coldiretti.

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