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Lo sfogo di Paul Arthur: “In Italia cultura a parole, meglio cercare altrove”

Lo sfogo di Paul Arthur: “In Italia cultura a parole, meglio cercare altrove”

Laboratori chiusi a chiave e database storici unici nel loro genere inaccessibili a studenti e ricercatori: “Ma la cultura dove sta? Nelle parole?”.
E’ lo sfogo amaro di Paul Arthur, professore di Archeologia Medievale dell’Università del Salento, inglese innamorato dell’Italia e della sua storia che, oggi, a distanza di anni, sembra ripensare alla scelta di scegliere il Bel Paese per portare avanti la sua attività di ricerca.
“Ero venuto in questo paese con tante speranze, visto i suoi pregressi. Forse i tempi sono cambiati, ma per la pace dell’anima la cultura (non la storia) ora si deve cercare altrove”. Lo sfogo, affidato alla pagina Facebook “Vivere Lecce” – nasce dalla delusione per l’assenza che dura ormai da anni, di tecnici dipendenti dell’università che possano garantire il funzionamento dei due laboratori di cui Paul Arthur è responsabile: il laboratorio di Archeologia Medievale e quello per l’Analisi delle ceramiche.

“Negli anni ’90 del secolo scorso avevo chiesto più volte per avere almeno un tecnico. Finalmente, tramite regolare bando, è stato assunto un ragazzo esperto di archeologia medievale e di informatica. Qualche anno dopo la sua assunzione, è stato rimosso – scrive – un esponente del Rettorato mi ha promesso più volte un sostituto (mai arrivato). Da molti anni gli studenti , che pagano regolarmente le tasse, chiedono giustamente di accedere ai laboratori, anche per svolgere attività legate ai loro tesi di laurea. Come gli faccio entrare? Tramite l’uso di studenti e collaboratori non retribuiti, per non parlare di eventuali responsabilità penali se succedesse qualcosa?”

Quello che manca – ci spiega il professore – è una figura amministrativa responsabile dell’apertura e della chiusura dei laboratori, che possa intervenire per far funzionare le strumentazioni e che, possibilmente, sia anche un tecnico informatico. “All’università del Salento abbiamo il più importante database di siti archeologici del Salento con più di 500 siti censiti – spiega Paul Arthur – una fonte d’informazione ineguagliabile ma quasi inaccessibile, se non grazie al lavoro volontario di uno studente che nel tempo libero se ne prende cura”.

La “colpa”, come più volte ribadito dal Rettore – Laforgia prima e Zara dopo – è la mancanza di fondi che ha costretto a tagliare il personale e non da la possibilità di sostituire quello che va in pensione.

Questa situazione coinvolge soprattutto il settore umanistico, precisa il professor Arthur, perchè “per altri settori i tecnici ci sono sempre stati”.

“Tenere chiusi i laboratori significa impedire la ricerca e se l’Università tiene la cultura chiusa sotto chiave è inutile” conclude amaro Paul Arthur che sottolinea come il suo grido di protesta non sia indirizzato solo all’Università del Salento, dove ha trovato casa trent’anni orsono, ma coinvolge tutto il sistema della cultura del nostro Paese: “Mi dispiace di questo sfogo, ma le cose non vanno proprio bene e l’Italia (il Bel Paese) ha imboccato una brutta strada, nonostante i costanti vanti di essere un paese di grande cultura”.  

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