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GLI IMPRENDITORI SALENTINI: “FIGLI DI UN DIO MINORE”

Mercoledi’ 31 Maggio 2017 alle ore 11,00 presso sala riunioni di Laica Salento in Via Cesare Abba, 46, 73100 Lecce.

Circa un anno fa abbiamo iniziato la battaglia sulla tassazione locale, in particolare sulla TARI, e finalmente tra poco più di due settimane, il 13 giugno per l’esattezza, il TAR si pronuncerà sul ricorso da noi proposto avverso le delibere TARI del Comune di Lecce. L’obiettivo è riparare all’ingiustizia con la quale sono stati indebitamente sottratti 20 milioni di euro in soli quattro anni alle imprese leccesi.

       Ma, come da subito sostenuto, la nostra non è una battaglia contro l’Amministrazione Comunale di Lecce, tant’è che, quest’anno, abbiamo acquisito le deliberazioni e i relativi allegati di quasi tutti i Comuni della Provincia di Lecce, con le quali sono stati approvati sia il piano finanziario TARI che le tariffe applicate agli utenti; li abbiamo analizzati, e i risultati di questo studio sono stati, tristemente, sorprendenti.

Quasi tutti i Comuni, per la TARI 2017, hanno adottato dei Piani Finanziari sintetici e quindi illegittimi, come stabilito da due recenti sentenze, una del Tar di Latina e una del TAR di Lecce. In entrambe le sentenze si osserva che il piano finanziario deve assumere la triplice funzione di rappresentazione del servizio esistente, di programmazione per l’anno di riferimento e di consuntivazione rispetto all’anno precedente. Invece, quasi tutti i Piani riportano sinteticamente soltanto le voci di costo senza alcuna relazione in merito alle modalità di organizzazione del servizio e delle modalità di quantificazione delle singole voci di costo. Ovviamente, l’illegittimità del piano finanziario comporta l’illegittimità derivata anche delle tariffe TARI.

La nostra attenzione si è soffermata in particolare sul metodo utilizzato nell’istruttoria con cui le Amministrazioni Comunali hanno effettuano la ripartizione dei costi fissi e variabili, come indicati dal Piano Finanziario, tra le due macrocategorie di utenze domestiche e non domestiche.

Su tutte, oltre Lecce, hanno stupito, per gli importi, le Amministrazioni Comunali di Galatina e di Gallipoli che hanno “arbitrariamente” ritenuto, come da loro stessa ammissione, di ripartire diversamente i costi rispetto al risultato ottenuto seguendo le procedure di legge, “gravando sull’utenza non domestica a beneficio dell’utenza domestica”. Peccato che questa arbitraria discrezionalità la legge non la permetta, perché la traslazione del tributo da una categoria all’altra determina una redistribuzione del reddito che può essere perseguita solo in sede di imposizione fiscale sul reddito.

Andiamo per ordine. A decorrere dal 1° gennaio 2013 con D.L. 201/2011 è stato istituito, in sostituzione della TARSU, in tutti i comuni del territorio nazionale il tributo comunale sui rifiuti (TARES e poi TARI) a copertura totale di tutti i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati a smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni. Il tributo è corrisposto in base ad una tariffa e commisurato alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia dell’attività svolta.

La tariffa si compone di una parte fissa determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio e di una parte variabile, rapportata alla quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione.

Il Comune redige ed approva ogni anno il Pef (Piano Economico Finanziario) con il quale individua e classifica i costi (riferiti all’anno precedente) che devono essere coperti con le entrate della TARI. Successivamente, si procede alla ripartizione dei costi fissi e variabili, come indicati dal Pef, tra le due macrocategorie di utenze domestiche e non domestiche determinando infine le voci tariffarie da applicare ai parametri imponibili (superficie, numero degli occupanti).

Le utenze domestiche sono costituite soltanto dalle abitazioni familiari e sono suddivise in sei categorie in relazione al numero degli occupanti

Le utenze non domestiche ricomprendono tutte le restanti utenze (rappresentano quindi una categoria residuale), in cui rientrano le attività commerciali, industriali, professionali e produttive in genere e sono differenziate in relazione all’attività svolta, individuando 30 tipologie diverse.

 Nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 14 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo, la ripartizione dei costi tra le due macrocategorie di utenze deve avvenire, come prevede l’art. 4, comma 2 D.P.R. 158/1999, secondo “criteri razionali”. Ciò implica la necessità di esplicitare nella deliberazione di approvazione delle tariffe il criterio utilizzato ritenendo illegittima una ripartizione priva di motivazione. Il criterio può essere certamente discrezionale ma non arbitrario e deve quindi fondarsi su fatti o situazioni effettivamente indicative della globale attitudine a produrre rifiuti delle due macrocategorie di utenza.

 Per questo motivo, per determinare la ripartizione si può ricorrere a rilevazioni statistiche, anche a campione, relative alla specifica realtà comunale o a realtà similari per tessuto sociale ed economico. E’, altresì, consentita una determinazione “per differenza” fondata sulla conoscenza della produzione riferita all’insieme delle utenze non domestiche, calcolando la produzione delle utenze domestiche appunto per differenza rispetto al dato globale. E questo è il criterio utilizzato da tutte le Amministrazioni locali, come sostenuto nelle loro delibere.

       Premesso ciò, l’Amministrazione di Lecce, che non avendo avuto il coraggio di approvare il Piano TARI 2017, ha riproposto quello del 2016,  nonché quelle di Galatina e Gallipoli, nella fase di determinazione delle tariffe, non solo non hanno applicato una, seppur discrezionale, corretta determinazione dei coefficienti di produzione, ma ciò che è ancor più grave, è che, “arbitrariamente”,  non hanno affatto tenuto conto di quei coefficienti da loro scelti, caricando così sulle attività produttive il doppio del dovuto.

Siamo di fronte ad un’evidente violazione del principio europeo “chi inquina paga”, che dovrebbe essere alla base della TARI.

Applicando il metodo su esposto, che gli stessi Comuni di Lecce, Gallipoli e Galatina richiamano nelle deliberazioni adottate, dall’analisi dei dati è emerso che:

ANALISI TARI 2017:

LECCE GALATINA GALLIPOLI TOTALE
COSTO DEL SERVIZIO € 23.950.000,62 € 6.071.798,35 € 6.943.401,90
% PRODUZIONE RIFIUTI UTENZE ND 28,43% 21,36% Non indicato
% PRODUZIONE RIFIUTI UTENZE D 71,57% 78,64% Non indicato
COSTO IMPUTATO ARBITRARIAMENTE DAI COMUNI € 11.975.000,00 € 2.309.515,68 € 2.985.665,82
COSTO CHE AVREBBERO DOVUTO IMPUTARE ALLE UTENZE ND € 6.808.985,00 € 1.296.936,13 € 1.554.014,84
MAGGIORE IMPORTO NON DOVUTO MA CORRISPOSTO DALLE UTENZE ND € 5.166.015,00 € 1.012.579,55 € 1.431.647,98 € 7.610.242,53

Possiamo, quindi, riaffermare che nei quattro anni presi in esame i soli Comuni di Lecce, Galatina e Gallipoli hanno incassato per la TARI, in maniera “arbitraria” oltre il dovuto, dalle utenze non domestiche circa € 30.000.000,00.

Concludiamo col dato finale emerso dallo studio: in Provincia di Lecce, dal 2014, anno in cui viene istituita la TARES poi TARI, le imprese, i liberi professionisti, i commercianti, gli artigiani, e tutte le partite IVA hanno pagato circa 100.000.000,00 (cento milioni) di Euro non dovuti.

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